DISPOSITIVO

Non parto mai da un concetto.
Il mio lavoro parte sempre da un'immagine che mi affascina e che io inizio a seguire.
Lentamente dentro di me si modifica, prende luce e suono si trasforma in un luogo nel quale vado a rifugiarmi.
Un giorno appare qualcuno e cominciano ad accadere delle cose.
Il luogo si popola di parole e personaggi che imparo a conoscere  e che mi piace osservare e ascoltare.
Solo quando sono a metà della loro storia o riguardo quello che ho filmato, prendo coscienza di cosa chiedeva di raccontare, cosa rappresenta per me e di cosa è espressione, quell'immagine.

La forma e il contenuto non nascono mai separatamente, sono inscindibili, la forma è il precipitato del contenuto, sempre.

Il dispositivo che l'immagine e il racconto racchiudono, non è mai chiuso in una forma rigida, così riprese documentarie, finzione e installazione perdono i loro confini, per diventare e inventare un linguaggio che ogni volta è diverso in relazione a ciò che voglio raccontare.

La camera è il mezzo tecnico della documentazione quanto della rappresentazione della realtà, della messa in scena.

La misura in cui ciascuno esponga veramente se stesso rimane questione aperta e mi piace giocare con il fatto che ogni presentazione del proprio io ad altri è sempre un'auto-rappresentazione. La rappresentazione di se stessi tiene sempre conto della presenza dell'interlocutore ( e della camera), rimanendo sul piano dell'esibizione e della maschera di auto difesa.

So di non filmare mai qualcosa o qualcuno, ma la relazione che instauro. Tra me e ciò che filmo.