IL POSTO DEGLI OGGETTI. il mio vestito è appeso là # 0.1

Un film di Cristina ki Casini


Il mio vestito è appeso là  # 0.1

Durante un trasloco vengono trovati dei rullini da sviluppare, così storie dimenticate tornano a cercarci.
Un vestito di donna fluttua, come un guscio vuoto, appeso a un albero, sopra le scale di un sovrapasso di una stazione. Le persone passano, ma nessuno sembra vederlo o volerlo vedere.
Una ragazza con la valigia si porta con sè un mondo affettivo sotterraneo che ancora deve comprendere.

Gli oggetti prendono spazio e lo modificano. Difficile ignorarli.




IL POSTO DEGLI OGGETTI. Lettere e foto. # 0.2


Regia Cristina ki Casini

Lettere e foto. # 0.2

Una lettera d'amore trovata per caso ci racconta le parole che non siamo in grado di dire.
Una foto messa nel congelatore e una lasciata andare tra le acque di un fiume. Rituali che cercano di cambiare il corso delle cose.

Gli oggetti prendono spazio e lo modificano. Difficile ignorarli.


.immagini dal film.



DA DOVE PARTE IL FILM


Che tipo di storie possono narrarci le cose?

Tradizionalmente i loro discorsi sono stati ricondotti alla loro natura di merci, che parlano di valore economico e di prestigio.

Ma dietro questa superficie comunicativa, possiamo scoprire un valore più intimo delle cose.

Un vestito, delle lettere, un bottone.
Cosa resta delle nostre storie?
Che significato prendono per noi questi oggetti?
E quale ruolo e posto gli diamo nella nostra vita?

In che modo ci rapportiamo ad essi e cosa suscitano negli altri?

Ho contato tutte le case in cui ho vissuto fino ad ora. Sono 20.
In occasione dei miei numerosi spostamenti, ho intrapreso ogni volta un percorso emotivo diverso. Non un semplice trasloco, ma un viaggio dentro me stessa. Attraverso quella parte rimasta ancorata a quelle stanze, a quegli oggetti, a quei profumi, alle vite non più visibili, ma presenti in quella che era la casa che lasciavo, ritrovavo parti di me dimenticate.

Cose.
Cose che liberate dalla polvere, cercavano il proprio posto, nelle case, tra le mani, sugli scaffali, nelle scatole, nascoste o messe in mostra. 
Mi parlavano della vita e del significato, del tempo e della memoria.


In un trasloco tutto viene impacchettato e resta in attesa di una nuova destinazione.
In mezzo a tanti scatoloni, a vestiti rimasti in fondo agli armadi, e a tante cose da buttare, ogni volta emergeva la mia vita, la mia vita nascosta sotto la pelle.
E ogni volta dovevo decidere ciò che mi avrebbe seguita e ciò che sarebbe stato perso per strada.
Decidevo chi ero.

Sul "rovescio delle cose" potevo trovare traccia della loro capacità, un po' impertinente, di sovvertire le regole e di inventarne di nuove.

Se la narrazione è una forma comunicativa capace di incorporare la contraddizione e l'irrazionale, gli oggetti sembrano allora poter essere uno straordinario materiale narrativo.

E' in questo senso che essi hanno un potere su di noi, perchè animati di un vissuto e di significati che ne accomunano il destino a quello dei loro utilizzatori, i quali nascono, si trasformano e se ne vanno, ma non necessariamente scompaiono, anche grazie agli oggetti che lasciano dietro di sè.

Se nel passato il pensiero occidentale ha voluto relegare questa valenza quasi magica delle cose al mondo dei primitivi, io intendo osservare il mondo degli oggetti contemporanei, per svelarne la vocazione narrativa, creativa e "sovrasensibile".

L'intento di questo percorso è proprio quello di far emergere processi controcorrente, dall'astratto al concreto delle cose.

Ci sono, scatole, ceste, bauli, sacchi che tra un trasloco e l'altro scegliamo di portarci dietro. 
Perchè, anche se sono pesanti, inutili e pieni di cose che abbiamo paura di rivedere, dentro c'è anche una parte di noi a cui non possiamo rinunciare, o di cui non riusciamo a liberarci.


DISPOSITIVO

Non parto mai da un concetto.
Il mio lavoro parte sempre da un'immagine che mi affascina e che io inizio a seguire.
Lentamente dentro di me si modifica, prende luce e suono si trasforma in un luogo nel quale vado a rifugiarmi.
Un giorno appare qualcuno e cominciano ad accadere delle cose.
Il luogo si popola di parole e personaggi che imparo a conoscere  e che mi piace osservare e ascoltare.
Solo quando sono a metà della loro storia o riguardo quello che ho filmato, prendo coscienza di cosa chiedeva di raccontare, cosa rappresenta per me e di cosa è espressione, quell'immagine.

La forma e il contenuto non nascono mai separatamente, sono inscindibili, la forma è il precipitato del contenuto, sempre.

Il dispositivo che l'immagine e il racconto racchiudono, non è mai chiuso in una forma rigida, così riprese documentarie, finzione e installazione perdono i loro confini, per diventare e inventare un linguaggio che ogni volta è diverso in relazione a ciò che voglio raccontare.

La camera è il mezzo tecnico della documentazione quanto della rappresentazione della realtà, della messa in scena.

La misura in cui ciascuno esponga veramente se stesso rimane questione aperta e mi piace giocare con il fatto che ogni presentazione del proprio io ad altri è sempre un'auto-rappresentazione. La rappresentazione di se stessi tiene sempre conto della presenza dell'interlocutore ( e della camera), rimanendo sul piano dell'esibizione e della maschera di auto difesa.

So di non filmare mai qualcosa o qualcuno, ma la relazione che instauro. Tra me e ciò che filmo.